Come è stato
giustamente osservato, è una pittura non di rappresentazione ma di
azione; non raffigura qualcosa di accaduto e rievocato, ma qualcosa che
si vuole che accada e che si anticipa col pensiero. Il gesto che
traccia l’immagine del bisonte ha la stessa dinamica del gesto del
cacciatore che, domani, fermerà la sua corsa nella radura: la
figurazione è come la prova, in palestra, dell’opera che si dovrà
sostenere, in campo.
I cacciatori di
Lascaux o di Altamira non potevano avere chiare nozioni sulla forma, la
struttura anatomica del bisonte o della renna: per essi esisteva
soltanto l’animale in corsa con cui dovevano misurarsi.
Il movimento
dell’altro è anche il proprio: l’identificazione del cacciatore con la
fiera non è soltanto magica ma esistenziale. Con i pochi colori di cui
dispone (terre, carbone, succhi d’erbe) il pittore-cacciatore fissa
soltanto ciò che percepisce in quell’ istante: la massa lanciata, la
curva della groppa inarcata nel balzo, la tensione nervosa dei garretti,
la dislocazione delle masse muscolari, il fremito delle narici.
Un’ immagine
fulminea non è necessariamente un’immagine schematica: talvolta la
visione rapida coglie e mette a fuoco particolari che una visione meno
concitata non rivelerebbe, ed un accenno istantaneo basta a suggerire
sinteticamente l’insieme. E’ questa presa immediata, quasi violenta, che
costituisce il fascino delle figurazioni paleolitiche.